Per andare dove?
le parole della fantasiologia [1]
N.B. Pubblicato nel 2018, riscritto e ampliato nel 2020 (in Per andare dove? Introduzione alla fantasiologia, Ngurzu Edizioni), questo saggio è ancora oggi per l’autore un punto di partenza importante per le considerazioni sulla fantasiologia. Tuttavia, molte delle riflessioni qui presentate sono state riviste e approfondite, soprattutto il paragrafo “fantasticare”, in Massimo Gerardo Carrese Il grande libro della fantasia, il Saggiatore 2023, lbro che include anche una bibliografia aggiornata sull’argomento.
«La fantasia stupisce perché l’essere umano non è biologicamente abituato a essere meravigliato: sapere che una persona ti stupirà porta quella persona a essere prevedibile. Non siamo fatti biologicamente per lo sbalordimento. Una persona che ti ha stupito sai già che la prossima volta potrà sorprenderti ancora, e questo la rende scontata perché crea non più stupore ma prevedibilità attraverso la sorpresa. […] Non avere la pazienza di aspettare la meraviglia è un comportamento tipico del potente che vuole gli altri simili a come se li immagina. La fantasia si muove continuamente, miscela e frammenta. Le visioni si materializzano, hanno continuità, diventano realtà. La fantasia può essere tangibile ma non è un’ideologia, è una dimensione, diventa banale quasi sempre per problemi di censura; siamo oppressi da film, opere teatrali noiose, imposte dagli esperti ad autori compiacenti. Siamo circondati da persone che bramano che ognuno sia uguale a come lo si vorrebbe.»
Antonio Rezza e Flavia Mastrella, Clamori al vento
«L’umanità è come un bimbo che cresce e scopre con stupore che il mondo non è solo la sua stanzetta e il suo campo giochi, ma è vasto, ci sono mille cose da scoprire e idee da conoscere diverse da quelle fra le quali è cresciuto. […] Ma più scopriamo, più ci rendiamo anche conto che quello che ancora non sappiamo è più di quanto abbiamo già capito. Più potenti sono i nostri telescopi, più vediamo cieli strani e inaspettati. Più guardiamo i dettagli minuti della materia, più scopriamo strutture profonde.»
Carlo Rovelli, La realtà non è come ci appare
Percezione (percepire)
È un processo psichico complesso che mi fa prendere coscienza della realtà, cioè di tutto quello che è fuori da me. Guardo la figura:
Mi chiedo: «Che cos’è?». È una palla da basket. La riconosco. Ne ho memoria. Ne comprendo forma e colore e ne ricordo la dimensione. La percezione, che raccoglie informazioni anche sullo stato del mio corpo, qui mette in contatto l’esterno con i miei sensi umani [2], e viceversa (anche quando non conosco la cosa che percepisco). Questa figura è la rappresentazione di una palla da basket che conosco nella realtà. L’ho vista nei campi da basket, in televisione, nei negozi, in fotografia, a casa di amici e a casa mia.
Associazione (associare)
È la facoltà che si riferisce al mio modo emotivo di sentire il mondo. Guardo la figura e mi chiedo: «Che cos’è per me?». Associare vuol dire mettere in relazione l’oggetto con me, una connessione volta a far risuonare il mio mondo interiore. Una relazione tra l’esterno e l’interno, e viceversa, che è contatto emotivo con il mondo. Guardo la figura e penso alla mia adolescenza, a quando giocavo a basket.
Facoltà importantissima al nostro vivere quotidiano e alla nostra sopravvivenza, la percezione legge le cose del mondo sul piano della competenza («Che cosa è?»,«Come si chiama?»). L’associazione, invece, attiva il piano emotivo («Che cosa è per me?», «Che cosa mi ricorda?») e riguarda l’educazione, che vuol dire “tirar fuori” (etimo di educare). Il mondo oggi chiede tecniche prestazioni e meno coinvolgimenti, così leggiamo la vita più per competenza che per educazione.
Immaginazione (immaginare)
È la facoltà delle immagini mentali e trattiene le forme [3]. Mi chiedo: «Com’è fatta nella mia mente l’immagine della palla da basket?» Le immagini mentali provengono dall’esperienza dei nostri sensi – anche quando visualizziamo mentalmente contesti irreali: le singole parti che si combinano a formare il fittizio arrivano sempre dalla nostra esperienza. Se visualizziamo con attenzione una stessa immagine mentale questa avrà, ogni volta che la richiamiamo, sfumature variabili. L’immaginazione non è imitazione, arida riproduzione: le immagini mentali sono mutevoli.
Inizio a vedere la palla da basket con gli occhi della mente. Perché con la mente se posso osservarla dal vero? L’immaginazione avviene in assenza [4] (totale o parziale) all’oggetto percepito e mi invita a capire in che modo conosco il mondo. In altre parole, posso sapere che cos’è una palla da basket (percezione) e come risuona in me (associazione) ma come si conserva nella mia mente la sua immagine? Rispondere a questa domanda è fare un esercizio di immaginazione. Se provo a descrivere a parole o a disegnare una palla da basket, che sostengo di conoscere bene, potrei scoprire che non è per nulla così, che mentre immagino la palla da basket per esempio non so che disposizione abbiano le linee nere sulla sua superficie: se compongono una precisa forma geometrica o se sono linee disposte casualmente. L’immaginazione mi aiuta a completare la conoscenza che ho di me e del mondo [5], del modo in cui si conservano in me le sue informazioni.
Con l’immaginazione metto in azione l’immagine che di quell’oggetto conservo nel mio cervello e ne esploro mentalmente le parti. A volte queste investigazioni rivelano immagini nitide, altre volte confuse.
L’immagine non è una figura nel cervello ma un’informazione che lo stesso cervello rielabora e che mi mostra come se fosse figura [6]. Se mi concentro [7], riesco persino a far ruotare nella mia mente la palla da basket [8], a sentire il suono dei suoi rimbalzi. Il colore arancione non lo vedo chiaramente mentre sono piuttosto netti i piccoli rilievi di gomma sulla sua superficie. La mia personale esperienza mi permette di visualizzare mentalmente e quasi in ogni dettaglio la palla da basket. Al contrario, avrei potuto fare delle congetture e sottoporle poi a verifica con l’osservazione dal vero. In entrambi i casi, l’immaginazione è conoscenza.
L’immaginazione non è solo un’attività che resta nella mente ma la posso condividere in espressioni esterne, la posso dimostrare, per esempio mostrandola a me stesso e agli altri con una bozza di disegno. Le immagini mentali sono combinazioni provvisorie e la memoria (che è l’archivio dell’immaginazione) non sistema stabilmente le informazioni come fa un computer (altrimenti non sarebbe degenerativa) ma ogni volta che richiama un ricordo, essa lo ricrea [9].
La memoria è un processo creativo [10]. Di conseguenza, anche l’immaginazione.
Fai un esercizio. Prova a immaginare come sono disposte le linee sulla superficie di una pallina da tennis. Che disegno geometrico formano? Quante linee ci sono? Che colore hanno? Qual è la differenza con quelle sulla palla da basket? Fai la stessa cosa con un bicchiere, com’è fatto? E ancora: che volto ha il tuo migliore amico?; e tua moglie?; il tuo fidanzato? Scoprirai che immagini le cose e le persone in modi inaspettati.
Fantasia (fantasiare) [11]
È la facoltà che si occupa di trovare alternative. Ricombina le immagini mentali [12] e dà a esse possibilità [13]. La fantasia non accade solo nella nostra mente ma dalla nostra mente può uscire e condensarsi all’esterno, può oggettivarsi, grazie a una dimostrazione che, seppur provvisoria, risponde alla domanda: «Che altro può essere una palla da basket?». Sarà compito della creatività, lo vedremo più avanti nel testo, rendere definitive le combinazioni provvisorie della fantasia e dell’immaginazione.
Anche la fantasia, come l’immaginazione, si muove in assenza perché va di là dell’oggetto percepito da cui tiriamo fuori possibilità che ancora non sono evidenti. La fantasia si può favorire creando ambienti appassionanti ma non si può insegnare perché dipende dalla nostra cultura, educazione, contesto sociale….
La fantasia interrompe una consuetudine perché non guarda più l’oggetto per ciò che è (una palla da basket) ma per tutto quello che potrebbe essere/diventare. Quando rintraccio una possibilità in un oggetto, questa non vaga nella mia mente come fosse un fantasma senza trovare una via d’uscita (altrimenti sarebbe una fantasticheria) ma la mostro obiettivamente a me stesso e agli altri. La dimostro facendo relazioni tra tutto ciò che conosco. Più cose conosco, con una certa consapevolezza e spirito critico, più relazioni posso fare (e più intriganti saranno le mie fantasie). La fantasia, come l’immaginazione, è conoscenza.
Per esplorare le possibilità devo infrangere quella logica che dice che A è solo A e non può essere non A. Un bicchiere è solo un bicchiere e non può essere un non bicchiere. Non è semplice incidere questo tipo di logica. A molti intimorisce farlo perché si spalancano le porte dell’ignoto e l’ignoto spaventa perché imprevedibile. So che cos’è un bicchiere ma che cos’è un non bicchiere? Che cosa diventa? Forse un portapenne? Un’arma? Un gioco? Una scultura? Se intacco questa logica non vuol dire che procedo secondo insensatezza ma che guardo il mondo e le cose del mondo con altre logiche, da altre prospettive, dalla prospettiva dell’anche. La congiunzione anche è un concetto interdisciplinare «[…] che abita la facoltà della fantasia e vive in quest’espressione: ‘una cosa (parola, oggetto, numero, suono) non è solo quella cosa ma ANCHE altro’. L’ANCHE apre alle possibilità, da condensare in un risultato tangibile [14].»
La mia pallina da basket può diventare anche un binocolo (senza rompere la pallina…) [15]. È la disposizione delle linee nere sulla pallina a farmi realizzare questa possibilità. Con una pallina da basket tra le mani posso creare la forma di un binocolo e, più immediatamente, se osservata come in figura
intravedere la lingua di un cane (tra l’altro, il modello di pallina in foto è usato per far giocare gli animali domestici, in particolare i cani). La lingua di un cane, da dove è nata quest’intuizione? Da “pallacanestro” che conserva al suo interno la parola “cane” (“pallaCANEstro”) e da qui mi sono chiesto se era possibile trovare un “cane” non solo come parola in “pallacanestro” ma anche come presenza anatomica sulla pallina da basket. Sembra una riflessione insensata ma… ad aiutarmi nella pratica, ancora una volta, sono state le linee nere presenti sulla palla da basket. Guarda la pallina in figura, riesci a vedere la forma della lingua di cane? Su ogni pallina ci sono quattro lingue!
La mia fantasia qui si muove per analogia e posso condividere la mia possibilità con gli altri. La mia fantasia, che dimostro, trova spazio nella realtà. Nell’individuare la lingua di cane su una pallina da basket c’è in gioco la fantasia e, insieme, la percezione, l’associazione, l’immaginazione, la creatività, la fantasticheria. La lingua di cane sulla pallina da basket (o su qualsiasi altra misura di palla da basket) è una possibilità che nasce dalla mia voglia di scoprire il mondo e dalla mia necessità di metterlo in dubbio. Dubbio, dal lat. Dúbium da dúo ‘due’ [16]. Il mio concetto dell’anche rappresenta il dubbio (due) giacché sostiene che una cosa è quella cosa e pure un’altra.
La pallina da basket che metto in dubbio è un gioco determinato dal caso (di avere tra le mani una pallina da basket e non un altro tipo di pallina) e dalla regola (sapere che cosa guardare: la forma geometrica delle linee e il nome della pallina). La fantasia non è solo caso ma anche regola. Bruno Munari scriveva: «La combinazione tra regola e caso è la vita, è l’arte, è la fantasia, è l’equilibrio [17]».
La fantasia ha una propria logica, fatta di funzioni provvisorie il cui vigore dipende solo dal mio modo di essere e di curiosare. La fantasia non è in conflitto con la logica comune ma è l’altra sua faccia [18]: non è antitesi della realtà [19] (quella, semmai, è la fantasticheria), della razionalità [20]. Nel parlare comune si dice che i bambini, e loro stessi lo affermano [21], hanno più fantasia degli adulti ma questa fantasia è molto spesso confusa con le caratteristiche che invece sono proprie della fantasticheria…. [22]
Creatività (creare)
A differenza della fantasia e dell’immaginazione, la creatività [23] può essere insegnata perché collegata al fare, al metodo progettuale, al modo tecnico. Mentre si può educare alla fantasia e all’immaginazione, in senso etimologico [24]. L’immaginazione e la fantasia esplorano in assenza e mostrano combinazioni provvisorie, cioè le immagini mentali e le possibilità sono sempre in costruzione, fin quando la creatività non stabilisce le combinazioni più appropriate allo scopo progettuale e le determina con tecnica e originalità [25]. La creatività agisce in presenza perché ragiona sull’oggetto e non al di là di esso. Creare vuol dire fare [26]. Creatività è principalmente sviluppo individuale, solitario, ma il risultato è condivisibile collettivamente attraverso le fasi di un processo creativo, che va dalla progettazione di un’idea ancora in formazione alla comunicazione di un’idea definita/di un prodotto concluso. La creatività è tecnica, cioè un insieme di pratiche basate su regole, istruzioni pronte all’uso come a) il metodo per costruire, da una pallina da basket, il modellino di un’automobile e accessorio in 3D; b) per formare il gesto di un binocolo; c) per vedere la lingua di cane, attività descritte nel mio laboratorio fantasiologico Vista – Gesto – Moto (2020).
La creatività è l’uso tecnico e finalizzato della fantasia e dell’immaginazione, della percezione, dell’associazione e della fantasticheria. Mi chiedo: «Come definisco tecnicamente la mia creazione e quanto è originale?». La creatività sottopone a verifica un’idea e la valuta sul piano economico, sociale, culturale, psicologico. Se ho trovato nella pallina da basket una lingua di cane, un binocolo, il modellino di un’automobile con accessorio, mi domando: «A che cosa mi servono queste possibilità? Come comunicarle all’altro? Posso impiegarle in ambito didattico? Sono opere originali? La lingua di cane, il binocolo, l’automobile sono verificabili in tutte le palline/palle da basket o solo in alcune?» La creatività unisce in modo inedito elementi noti al fine di creare qualcosa di nuovo, utile ed eticamente corretto. Con una pallina da basket ho strutturato un gioco fantasiologico su come costruire la forma di un binocolo, un’automobile con accessorio in 3D e come rintracciare una lingua di cane esemplificata in questa figura in basso [27]. La creazione dovrà essere nuova e utile per me e/o per la società [28]. Creatività è tecnica e originalità.
Le idee non arrivano dal cielo né si generano dal nulla. Lucrezio ne scriveva già in La natura delle cose [29]. Ancora non sappiamo che cosa siano le idee [30] ma abbiamo capito che nascono dallo studio e ricerca – l’insight, l’improvvisa illuminazione che sembra arrivare dal niente, è il risultato differito proprio dei nostri studi e ricerche. Nascono dal coraggio di persistere in uno scopo; dalla fortuna – non è secondario il fatto di trovarsi al momento giusto e nel periodo storico giusto!; dall’acutezza di saper leggere gli eventi quando si mostrano a noi: le idee nascono anche per caso e per serendipità [31]. Il creativo propone qualcosa che nessuno ha mai visto prima di quel momento. Un’idea o un oggetto, che non ha confronti con il passato. Che non è presente nella storia dell’umanità. «La creatività è rispondere a una domanda che non è stata posta [32]». È il tempo storico a dire se un’opera è davvero creativa: la storia dell’evoluzione umana è piena di idee scartate perché in un dato momento considerate inutili o folli e poi capite e riprese con entusiasmo. In generale, la creatività rompe le certezze acquisite, irrompe nella sedentarietà della cultura. Creatività è progresso (da non confondere con sviluppo, distinzione che meriterebbe un discorso a parte [33]). Le persone non amano riequilibrarsi dopo che si sono abituate, talvolta per secoli, a un modo di fare e alle tradizioni culturali perciò guardano spesso con diffidenza al nuovo perché, appunto, non lo riconoscono e non possono valutarne l’efficacia. Chi investe in creatività non punta allo sbaraglio ma elegge la fantasia e l’immaginazione a strumenti di ricerca e a processi di crescita e non più a sole attività di svago e di ricreazione, come troppo spesso sono intese.
È dal vecchio che nasce il nuovo. È dalla combinazione inedita del noto che si crea l’originale. Da cosa nasce cosa, recita un proverbio. La creatività ispira la fantasia, accresce l’immaginazione, stimola la percezione, arricchisce l’associazione, fa vibrare la fantasticheria. Quando noi pensiamo, tutte queste parole della fantasiologia, chi più e chi meno, sono in circolo. Non sono attività isolate ma complementari.
Fantasticheria (fantasticare)
È la facoltà che m’invita a vagare con spensieratezza tra le immagini della mente e tra le possibilità. È il sogno a occhi aperti. È il gioco del “fare finta che”. Molto più sbrigliata dell’associazione perché non mi chiedo a che cosa mi fa pensare una pallina da basket? ma «Dove mi porta questa pallina da basket?», «che cosa diventa per finta?» Mi lascio trasportare dai miei pensieri che s’incrociano con altri pensieri, senza apparente motivo [34].
La fantasticheria è anche quando animiamo un oggetto a fare finta che sia un’altra cosa da ciò che rappresenta. È un gioco che non resiste al confronto con la realtà perché se imitiamo un’automobile con la nostra pallina da basket, quest’ultima non sarà mai obiettivamente un modellino di automobile. Sarà sempre una pallina da basket. Salvo che non dimostriamo questa possibilità, cioè farla diventare anche il modellino tangibile di un’automobile, ma siamo già nell’esercizio della fantasia.
Per fantasticare basta una parola, un’immagine, un suono, un odore che scatena un ricordo a condurmi altrove, a farmi attivare relazioni anche molti distanti tra loro. Relazioni a me stesso imprevedibili, incontrollabili e talvolta non giustificabili. Posso sembrare molto concentrato durante lo svolgimento di un’attività, specie se abitudinaria, e scoprirmi, al tempo stesso, a pensare ad altro [35].
La fantasticheria è certamente legata all’inconscio (come spesso lo sono le combinazioni provvisorie della fantasia e dell’immaginazione) ma è anche conscia quando chiedo all’altro una complicità affinché stia al mio gioco. Per esempio, quando imito gesti e suoni di un’automobile con una pallina da basket tra le mani. L’altro, adulto o bambino, partecipa divertito al mio gioco ma sa che quella non è il modello di un’automobile. In breve, chiedo all’altro di credermi, senza dimostrazione. Fantasticare è una fondamentale, complessa, variegata facoltà della mente che mi aiuta a scavalcare il quotidiano (per intravedere in esso delle opportunità eventualmente da realizzare), a divertirmi, a sorridere di gusto. Secondo l’intensità del fantasticare, di quanto cioè si creda vera una “visione”, si parla di patologia che è un altro tema articolato.
Rendere solide
La fantasticheria è tutto ciò che accade nella mente e che non trova un dialogo comprovabile con la realtà circostante. È quello che rimane nella nostra mente, è il sogno a occhi aperti, il gioco del “fare finta che”. Anche la fantasia e l’immaginazione possono rimanere attività produttive solo nella nostra mente: quando pensiamo a una possibilità, a un’alternativa, possiamo lasciarla correre nella mente senza mai tirarla fuori. Così per un’immagine mentale, che contempliamo solo in noi senza mai preoccuparci di farla vedere a qualcun altro. L’immaginazione e la fantasia, in tal senso, restano nella nostra testa, rimangono intangibili. Sono in molti a intenderle solo in questo senso, a vestirle di astratto, e così diventa frequente incontrare nel parlare quotidiano e in testi specialistici frasi come “queste sono solo fantasie”, “questa è solo frutto della tua immaginazione” a rilevare l’assenza di realtà che le parole fantasia e immaginazione portano con sé. Invece, è indispensabile conoscere, per la nostra educazione ed evoluzione, che fantasia e immaginazione, a differenza della fantasticheria che non avrà mai un richiamo concreto nella realtà se non “per finta”, possono condensarsi nella nostra vita in forme tangibili. Possono cioè rendersi solide, evidenti, così come lo sono diventate nel laboratorio fantasiologico (ndr Vista Gesto Moto 2020). La creatività definisce la fantasia e l’immaginazione con un processo tecnico e originale. Dà loro un equilibrio. La creatività non è mai astrazione: persino nel linguaggio comune è intesa sempre come produzione concreta.
Realtà (realizzare)
La pallina da basket è reale, parola che «Nel linguaggio della scienza [vuol dire] che ha consistenza fisica, che è un corpo o una sostanza» [36] ma la pallina da basket non esiste, intendendo con questa espressione l’essere in vita [37], la sua presenza biologica.
La realtà è tutto ciò che è indipendente dalla nostra mente, tutto ciò che è fuori di noi e di cui verifichiamo la consistenza con strumenti obiettivi. In questa realtà ci sono forme oggettive (cose) e forme biologiche (vita). La fantasia fonda realtà (cose) ma non esistenze (vita).
La lingua di cane che troviamo sulla pallina da basket è reale, la sua rappresentazione è proprio lì, è visibile a tutti, ma non esiste in quanto muscolo dotato di vita. L’ippogrifo nella sua rappresentazione è reale e resta reale anche se io non leggo le sue caratteristiche fisiche nell’Orlando Furioso ma l’ippogrifo non esiste: non ci sono fossili [38].
Il bambino che gioca con una pallina da basket facendola diventare un’automobile gioca con qualcosa che non è (non è un’automobile) e non c’è (non è tangibile). Il suo gioco è irreale poiché egli fantastica. La fantasticheria non ha consistenza fisica. Quando invece il bambino crea il modellino di un’automobile usando un metodo, allora egli gioca con la realtà (l’automobile ha consistenza fisica).
Tutto quello che è creato dall’essere umano è reale e in quanto tale conserva le informazioni della fantasia, dell’immaginazione, della creatività, dell’associazione, della percezione, della fantasticheria. Rintracciamo queste facoltà in tutte le creazioni dell’essere umano. Facoltà che compongono in profondità e in superficie la nostra vita individuale e sociale. Se approfondiamo la storia di un’idea o di un oggetto, come per esempio quella della palla da basket, capiamo concretamente il percorso compiuto dalla fantasia, dall’immaginazione e dalla creatività – cito principalmente queste tre facoltà ma il discorso è da estendere a tutte le altre parole della fantasiologia – di chi ha realizzato quell’oggetto perché possiamo indagare quali possibilità sono state considerate e quali escluse; quali forme sono state elette e quali invece messe da parte; quali tecniche sono state usate e com’è stata ricercata l’originalità del gioco. Non è semplice fare questo tipo di analisi/osservazioni nelle cose del mondo e nelle idee ma neppure impossibile. Sostenere che un oggetto sia reale e che più non c’entrino in esso la fantasia, l’immaginazione e la creatività è dare a chi ci ascolta o legge un’informazione incompleta, della realtà e delle facoltà qui descritte.
Nel linguaggio quotidiano si dice che la realtà sia l’opposto della fantasia. Al più c’è contrapposizione tra fantasia ed esistenza mentre fantasia e realtà si completano a vicenda. La fantasia, per la sua polisemia, è frequentemente confinata a qualcosa di indefinito, di inclassificabile, di astratto, di estraneo dal mondo in cui viviamo [39]. Attività fondamentale, si dice spesso in convegni e si scrive in libri e progetti ma in sostanza la fantasia passa nel nostro ordinamento scolastico e universitario, e nella vita quotidiana, perlopiù come attività che presenta gioiose spensieratezze, irrealtà, evasioni dal circostante. È già un bene, si dirà, ma dov’è la fantasia come facoltà del possibile, come strumento di conoscenza per ri-scoprire noi stessi e il mondo?
Da secoli gran parte dell’umanità si occupa approfonditamente solo di un lato della medaglia (realtà, esistenza, razionalità, logica…) trattando con superficialità l’altro (fantasia, immaginazione, creatività…). Le conseguenze sociali e culturali di quest’atteggiamento sono visibili nella monotonia, chiusura intellettuale e appiattimento emotivo del singolo, specchio egli stesso di una collettività che cerca, rincorre e pratica sempre più la competenza e la competizione e sempre meno il gioco e l’educazione.
Conclusione
La possibilità è l’ispirazione. Che cos’è l’ispirazione? Wisława Szymborska la racconta così: «L’ispirazione, qualunque cosa sia, nasce da un incessante “non so”. […] due piccole paroline: “non so”. Piccole, ma alate. Parole che estendono la nostra vita in territori situati dentro noi stessi e in territori in cui è sospesa la nostra minuscola Terra. Se Isaak Newton non si fosse detto “non so”, le mele nel giardino sarebbero potute cadere davanti ai suoi occhi come grandine e lui, nel migliore dei casi, si sarebbe chinato a raccoglierle, mangiandole con gusto. Se la mia connazionale Maria Sklodowska Curie non si fosse detta “non so”, sarebbe sicuramente diventata insegnante di chimica in un convitto per signorine di buona famiglia, e avrebbe trascorso la vita svolgendo questa attività, peraltro onesta. Ma si ripeteva “non so” e proprio queste parole la condussero, e per due volte, a Stoccolma, dove vengono insignite del Premio Nobel persone dall’animo inquieto perennemente alla ricerca di qualcosa. Anche il poeta, se è un vero poeta, deve ripetere di continuo a se stesso “non so”. [40]»
La fantasiologia invita a pronunciare queste due piccole paroline. A capire in che modo leggiamo il mondo e anche in che modo, in ogni istante, ci cade dentro. Le parole della fantasiologia cercano il modo di farci alzare dalla comodità del nostro divano. Sì, ma per andare dove? «La mente è una sola. La sua creatività va coltivata in tutte le direzioni.», suggerisce Gianni Rodari [41].
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Where to?
Words of fantasiology
N.B. This essay, published in 2018, rewritten and expanded in 2020 (in Per andare dove? Introduzione alla fantasiologia, Ngurzu Edizioni), remains for the author an important starting point for reflections on fantasiology. However, many of the considerations presented here have been revised and expanded, especially the ‘daydreaming’ section, in Massimo Gerardo Carrese Il grande libro della fantasia, il Saggiatore 2023, a book which also includes an updated bibliography on th subject.
Perception
It is a complex psychic process that makes me aware of reality, i.e. everything that is outside of me. I look at the figure:
I ask myself, “What is this?” It is a basketball. I recognise it. I remember it. I understand its shape and colour and remember its size. Perception, which also gathers information about the state of my body, here connects the outside with my human senses [2] and vice versa (even if I do not know the thing I perceive). This figure is a representation of a basketball that I know in reality. I have seen it on basketball courts, on television, in shops, in photographs, at friends’ houses and in my own house.
Association
This is the faculty that relates to my emotional way of feeling the world. I look at the picture and ask myself, “What does this mean to me?” To associate is to relate the object to me, a connection that aims to resonate my inner world. A relationship between the outside and the inside and vice versa, which is an emotional contact with the world. I look at the figure and think back to my youth, when I played basketball.
Perception, an important faculty for our daily life and survival, reads things in the world at the level of competence (“What is it?”, “What is its name?”). Association, on the other hand, activates the emotional level (“What does it mean to me?”, “What does it remind me of?”) and concerns education, which means “to bring out” (etymology of the verb to educate). Today’s world demands technical performances and less involvement, so we read life more through competence than through education.
Imagery
It is the faculty of mental imagery and retains forms [3]. I ask myself: “What does the image of the basketball look like in my mind?” Mental images come from the experience of our senses – even when we mentally visualise unreal contexts: the individual parts that combine to form the fictitious always come from our experience. If we carefully visualise the same mental image, it will have different nuances each time we recall it. Imagery is not imitation, not dry reproduction: mental images are mutable.
I begin to see the basketball in my mind’s eye. Why with the mind when I can observe it from life? Imagery occurs in the absence [4] (total or partial) of the perceived object and invites me to understand how I know the world. In other words, I can know what a basketball is (perception) and how it emotionally resonates within me (association), but how does its image remain in my mind?
Answering this question is an exercise in imagery. If I try to describe in words, or draw, a basketball that I claim to know well, I may discover that this is not the case at all, that while I imagine the basketball, for example, I do not know how the black lines on its surface are arranged: whether they form a precise geometric shape or whether they are randomly arranged lines. Imagery helps me to complete the knowledge I have about myself and the world [5], the way its information is stored in me.
With imagery I put into action the image I have of the object in my brain and mentally explore its parts. Sometimes these explorations produce clear images, sometimes confused ones.
The image is not a figure in the brain but information that the brain processes and shows me as a figure [6]. If I concentrate [7], I can even make the basketball [8] rotate in my mind, hear the sound of it bouncing. I cannot see the orange colour clearly, but the small rubber reliefs on its surface are clearly visible. My personal experience allows me to visualise the basketball in almost every detail. On the other hand, I could make conjectures and then verify them by observation from life. In both cases, imagery is knowledge.
Imagery is not only an activity that remains in the mind, but I can share it in external expressions, I can demonstrate it, for example, by showing it to myself and others with a sketch. Mental images are provisional combinations and memory (which is the archive of imagery) does not permanently systemise information as a computer does (otherwise it would not be degenerative) but every time it recalls a thought, it recreates it [9].
Memory is a creative process [10]. Consequently, so is imagery.
Let’s try an exercise. Try to see in your mind how the lines on the surface of a tennis ball are arranged. What geometric pattern do they make? How many lines are there? What colour are they? How are they different from those on a basketball? Do the same with a glass, what does it look like? And again: what does your best friend look like; your wife; your boyfriend? You will find that you imagine things and people in unexpected ways.
Imagination [11]
It is the faculty that deals with finding alternatives. It recombines mental images [12] and gives them possibilities [13]. Imagination does not only take place in the mind, but from the mind it can come out and condense outwards, it can become objective thanks to a demonstration that, although provisional, answers the question: “What else can a basketball be?” It will be the task of creativity, as we will see later, to make the provisional combinations of imagination and imagery definitive.
Imagination, like imagery, moves in absence because it goes beyond the perceived object from which we draw possibilities not yet apparent. Imagination can be fostered by creating exciting environments, but it cannot be taught because it depends on our culture, education and social context….
Imagination breaks a habit because it no longer looks at the object for what it is (a basketball), but for all that it could be/become. When I trace a possibility in an object, it does not wander like a ghost in my mind without finding a way out (otherwise it would be a reverie), but I show it objectively to myself and to others. I show it by establishing relationships between everything I know. The more things I know, with a certain awareness and critical mind, the more relationships I can make (and the more fascinating my imagination will be). Imagination, like imagery, is knowledge.
To explore possibilities, I have to break the logic that says A is only A and cannot be non-A. A glass is just a glass and cannot be a non-glass. It is not easy to break this kind of logic. It intimidates many because it opens the door to the unknown, and the unknown is frightening because it is unpredictable. I know what a glass is, but what is a non-glass? What does it become? A pen holder perhaps? A weapon? A game? A sculpture? If I undermine this logic, it does not mean that I proceed according to nonsense, but that I look at the world and the things of the world with other logics, from other perspectives, from the perspective of the also.
The conjunction also is an interdisciplinary concept “[…] that inhabits the faculty of imagination and lives in this expression: a thing (word, object, number, sound) is not only that thing, but ALSO something else”. The ALSO opens up possibilities to be condensed into a tangible result [14]”.
My basketball can also become a pair of binoculars (without breaking the ball…) [15]. It is the arrangement of the black lines on the ball that makes me realise this possibility. With a basketball in my hands, I can create the shape of a pair of binoculars and, more immediately, if I look as in the picture
I can see a glimpse of a dog’s tongue (by the way, the ball model in the picture is used for pets, especially dogs, to play with). A dog’s tongue… where did this intuition come from? From the Italian word “basketball”, which has the word “dog” in it (“pallacanestro” and “cane” in Italian is “dog”), and from here I wondered if it was possible to find a “dog” not only as a word in “basketball”, but also as an anatomical presence on the basketball. It seems like a silly thought, but… what helped me in practice were, once again, the black lines on the basketball. If you look at the ball in the picture, can you see the shape of the dog’s tongue? There are four tongues on each ball!
My imagination moves here by analogy and I can share my possibility with others. My imagination, which I am demonstrating, finds a place in reality. In identifying the dog’s tongue on a basketball, imagination is at play, as are perception, association, imagery, creativity and reverie. The dog’s tongue on the basketball (or any other size of basketball, not only a small one like that in the picture) is a possibility born of my desire to discover the world and my need to question it, my need to put the world in doubt. Doubt, from lat. Dúbium from dúo “two” [16]. My concept of the also represents doubt (two) since it holds that one thing is that thing and another.
The basketball I question is a game determined by chance (e.g. having a basketball in my hands and not another type of ball) and rule (knowing what to look at: the geometric shape of the lines and the Italian name of the ball). Imagination is not only chance, but also rule. Bruno Munari wrote: “The combination of rule and chance is life, is art, is imagination, is balance [17]”.
Imagination has a logic of its own, made up of provisional functions whose strength depends only on my way of being and inquiring. Imagination is not in conflict with common logic, but is its other side [18]: it is not the antithesis of reality [19] (which is, if anything, reverie), of rationality [20]. It is commonly said that children, and they say so themselves [21], have more imagination than adults, but this imagination is very often confused with the characteristics that are of reverie…. [22]
Creativity
Unlike imagination and imagery, creativity [23] can be taught because it is related to making, to the design method, to the technical way. On the other hand, one can educate to imagery and imagination, in the etymological sense [24]. Imagination and imagery explore in absence and show provisional combinations, that is, mental images and possibilities are always under construction, until creativity establishes the most appropriate combinations for the design purpose and determines them with technique and originality [25]. Creativity acts in presence because it thinks on the object and not beyond it. To create is to make [26]. Creativity is primarily an individual, solitary development, but the result can be shared collectively through the stages of a creative process, ranging from the design of an idea still in formation to the communication of a defined idea/concluded product.
Creativity is technique, i.e. a set of rule-based practices, ready-to-use instructions, such as a) the method of building a 3D model of a car and its accessories from a basketball; b) the gesture of binoculars; c) seeing a dog’s tongue, activities described in my fantasiologic workshop Vista – Gesto – Moto (2020).
Creativity is the technical and purposeful use of imagery and imagination, perception, association and reverie. I ask myself: “How do I technically define my creation and how original is it?” Creativity tests an idea and evaluates it economically, socially, culturally, psychologically. If I find a dog’s tongue, a pair of binoculars or a model car with accessories in a basketball, I ask myself: “What do I need these possibilities for?”, “How can I share them with others?”, “Can I use them in an educational context?”, “Are they original works?”, “Are the dog’s tongue, the binoculars, the car verifiable in all balls/basketballs or only in some?”
Creativity combines known elements in new ways to create something new, useful and ethical. Using a basketball, I structured a fantasiologic game to construct the shape of binoculars, a car with a 3D accessory, and the shape of a dog’s tongue, as shown in this figure below [27]. The creation must be new and useful to me and/or to society [28]. Creativity is about technique and originality.
Ideas do not come from heaven, nor are they created out of nothing. Lucretius wrote about this in The Nature of Things [29]. We still don’t know what ideas are [30] but we understand that they are born from study and research – the insight, the sudden illumination that seems to come from nowhere, is the deferred result of our own study and research. They are born from the courage to persevere with a purpose; from luck – it is not secondary that we are at the right time and in the right historical period!; from the acuity to read events as they present themselves to us: ideas are also born by chance and serendipity [31]. The creative person proposes something that no one has ever seen before. An idea or an object that has no comparison with the past. That does not exist in human history. “Creativity is the answer to a question that has not been asked [32]”.
It is historical time that determines whether a work is truly creative: the history of human evolution is full of ideas that were discarded because they were considered useless or crazy at a given moment, and then understood and taken up again with enthusiasm. In general, creativity breaks through acquired certainties, breaks through the sedentary nature of culture.
Creativity is progress (not to be confused with development, a distinction that deserves a separate discourse [33]). People are reluctant to rebalance themselves after having become accustomed, sometimes for centuries, to a way of doing things and to cultural traditions, so they often look at the new with suspicion, precisely because they do not recognise it and cannot assess its effectiveness. Those who invest in creativity do not aim for the unknown, but choose imagery and imagination as tools for research and growth, and no longer as mere leisure and recreational activities, as they are too often understood.
It is from the old that the new is born. It is from the novel combination of the known that the original is created. Out of what comes what goes, you might say. Creativity inspires imagination, enhances imagery, stimulates perception, enriches associations, makes reverie vibrate. When we think, all these words of fantasiology, some more, some less, are in a circle. They are not isolated faculties, but complementary.
Daydreaming
It is the faculty that invites me to wander carelessly between the images of the mind and the possibilities. It is daydreaming. It is the “game of pretending”. Much more carefree than association, because I don’t ask myself “what does a basketball remind me of? but “where does this basketball take me?”, “what does it become in the game of pretence?”. I let myself be carried away by my thoughts, which cross with other thoughts for no apparent reason [34].
Reverie is also when we animate an object to pretend it is something other than what it represents. It is a game that does not stand up to comparison with reality, because if we imitate a car with our basketball, it will never objectively be a model car. It will always be a basketball. Only when we demonstrate this possibility, i.e. when we turn it also into a tangible model of a car, only then we’re exercising our imagination and no longer dreaming.
All it takes for me to daydream is a word, an image, a sound, a smell that triggers a memory that takes me somewhere else, that makes me activate relationships that are also very distant. Relationships with myself that are unpredictable, uncontrollable and sometimes unjustifiable. I can appear to be very concentrated while doing an activity, especially a habitual one, and at the same time discover myself thinking about something else [35].
The reverie is certainly linked to the unconscious (as are often the provisional combinations of imagery and imagination), but it is also conscious when I ask the other person for complicity so that he or she will play along with me. For example, when I imitate the gestures and sounds of a car with a basketball in my hand. The other person, adult or child, participates in my game with amusement, but knows that this is not the model of a car. In short, I ask the other person to believe me without demonstrating. Daydreaming is a fundamental, complex, multifaceted faculty of the mind that helps me to bypass the everyday (to see in it possibilities that might be realised), to enjoy myself, to smile with pleasure. Depending on the intensity of daydreaming, i.e. how true one believes a “vision” to be, one speaks of pathology, which is another articulated theme.
Making it solid
Daydreaming is everything that happens in the mind that does not find a verifiable dialogue with the surrounding reality. It is what remains in our mind, it is the “game of pretending”. Imagery and imagination can also remain productive activities only in our mind: when we think of a possibility, an alternative, we can let it run through our mind without ever taking it out. The same is true of a mental image that we contemplate only within ourselves, without ever bothering to show it to anyone else. Imagination and imagery, in this sense, remain in our heads, remain intangible. Many people understand them only in this sense, as abstractions, and so it becomes common in everyday speech and in specialist texts to encounter phrases such as “these are only imagination”, “this is just a figment of your imagination.”, in order to detect the absence of reality that the words imagery and imagination carry with them.
Rather, it is essential for our education and development to know that imagery and imagination, unlike daydream, which will never have a concrete appeal in reality except “for pretence”, can condense into tangible forms in our lives. That is to say, they can become solid, evident, just as in our fantasiologic laboratory (ed. Vista – Gesto – Moto 2020). Creativity defines imagery and imagination with a technical and original process. It gives them a balance. Creativity is never an abstraction: even in everyday language it is always understood as concrete production.
Reality
The object basketball is real, a word that “In the language of science [means] that it has physical consistency, that it is a body or substance” [36], but the object basketball does not exist, by which is meant its being alive [37], its biological presence.
Reality is everything that is independent of our mind, everything that is outside of us and whose consistency we verify with objective instruments. In this reality there are objective forms (things) and biological forms (life). Imagination grounds reality (things) but not existence (life).
The dog’s tongue that we find on the basketball is real, its representation is there for all to see, but it does not exist as a muscle endowed with life. The hippogriff in its representation is real and remains real even if I do not read its physical characteristics in the Orlando Furioso (The Frenzy of Orlando) by Ludovico Ariosto, but the hippogriff does not exist: there are no fossils [38].
The child who plays with a basketball by turning it into a car is playing with something that is not (it is not a car) and is not there (it is not tangible). His play is unreal because he is daydreaming. Daydream has no physical substance. On the other hand, if the child uses a method to make a model of a car, he is playing with reality (the car has physical substance).
Everything created by man is real and as such contains the information of imagery, imagination, creativity, association, perception, daydream. We trace these faculties in all human creations. Faculties that make up our individual and social life in depth and on the surface. If we study the history of an idea or an object, such as the basketball, for example, we can concretely understand the path taken by the imagery, imagination and creativity – I mention these three faculties in particular, but the discourse should be extended to all the other words of fantasiology – of the person who created this object, because we can study which possibilities were considered and which were excluded; which forms were chosen and which were abandoned; which techniques were used and how the originality of the game was sought. It is not easy to make this kind of analysis/observation of things in the world and of ideas, but neither is it impossible. To say that an object is real and that imagery, imagination and creativity have nothing to do with it is to give the listener or reader incomplete information about the reality and faculties described here.
In everyday language, reality is said to be the opposite of imagination. At most, there is an opposition between imagination and existence, while imagination and reality complement each other. Imagination, because of its polysemy, is often limited to something undefined, unclassifiable, abstract, alien to the world in which we live [39]. A fundamental activity, it is often said at conferences and written about in books and projects, but in our school and university systems and in everyday life, imagination is essentially passed over as an activity that presents a joyful lightness, an unreality, an escape from one’s surroundings. This is all well and good, one might say, but where is imagination as a faculty of the possible, as a tool of knowledge to rediscover ourselves and the world?
For centuries, a large part of humanity has been deeply concerned with only one side of the coin (reality, existence, rationality, logic…) and superficially concerned with the other side (imagery, imagination, creativity…). The social and cultural consequences of this attitude can be seen in the monotony, intellectual closure and emotional flattening of the individual, who is himself a mirror of a community that increasingly seeks, chases and practices competence and competition, and less and less play and education.
Conclusions
Possibility is inspiration. What is inspiration? Wisława Szymborska puts it this way: “Whatever inspiration is, it’s born from a continuous “I don’t know.” […] This is why I value that little phrase “I don’t know” so highly. It’s small, but it flies on mighty wings. It expands our lives to include the spaces within us as well as those outer expanses in which our tiny Earth hangs suspended. If Isaac Newton had never said to himself “I don’t know,” the apples in his little orchard might have dropped to the ground like hailstones and at best he would have stooped to pick them up and gobble them with gusto. Had my compatriot Marie Sklodowska-Curie never said to herself “I don’t know”, she probably would have wound up teaching chemistry at some private high school for young ladies from good families, and would have ended her days performing this otherwise perfectly respectable job. But she kept on saying “I don’t know,” and these words led her, not just once but twice, to Stockholm, where restless, questing spirits are occasionally rewarded with the Nobel Prize. Poets, if they’re genuine, must also keep repeating “I don’t know.” [40]”
Fantasiology invites us to say these little words: I don’t know. To understand how we read the world and also how it falls into us at every moment. The words of fantasiology look for ways to get us up from the comfort of our sofa. Yes, but where to? “The mind is one. Its creativity must be cultivated in all directions,” suggests Gianni Rodari [41].
[1] “Fantasiologia” per approfondire. Le sette parole chiave della fantasiologia (percezione, associazione, immaginazione, fantasia, fantasticheria, creatività, realtà) sono complementari. La sequenza proposta in questo scritto ha scopo d’indagine e tenta di mostrare i principali tratti di ciascuna voce. L’intento del saggio fantasiologico non è di esaurire le argomentazioni esposte, affrontate nello specifico in altri miei lavori, ma di stimolare nel lettore un primo pensiero critico riguardo ai temi discussi. Per una dettagliata analisi della fantasiologia Il grande libro della fantasia, il Saggiatore 2023.
[2] Riccardo Falcinelli, Guardare pensare progettare. Neuroscienze per il design, Stampa Alternativa & Graffiti, Viterbo 2011
[3] Maurizio Ferraris, L’immaginazione, Il Mulino, Bologna 1996
[4] Jean Paul Sartre, L’immaginazione – idee per una teoria delle emozioni, Bompiani, Milano 2007
[5] Durante i miei incontri fantasiologici di Mi manca un venerdì (si veda l’articolo del 19/3/2018 https://www.fantasiologo.com/venerdi%20fantasiologo%20Massimo%20Gerardo%20Carrese.html ), ho verificato che proponendo gli esercizi di immaginazione con la pallina da basket, adulti e bambini non riuscivano a comunicarne, tramite per esempio disegno o descrizioni a parole, forma e sostanza (posizione e spessori delle linee, colore, rilievi di gomma sulla superficie, materiale in uso…). Questo semplice esercizio creava stupore e sconcerto tra i partecipanti che, fino a quel momento, credevano di conoscere bene come fosse fatta una palla da basket. Questo lascia ipotizzare che usiamo l’immaginazione in modi superficiali, solo per visualizzare generici contesti ma non la loro profonda natura
[6] http://www.iapb.it/nervo-ottico
[7] Si veda il mio articolo “Del tuo stesso apparire” del 9/4/2018 con particolare riferimento alla nota 5 sull’afantasia https://arteculturaitalopolacca.com/2018/04/09/del-tuo-stesso-apparire1/
[8] Stephen Kosslyn, Le immagini nella mente. Creare ed utilizzare le immagini nel cervello, Giunti, Firenze 1999
[9] Gerald Edelman, Giulio Tononi, Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione, Einaudi, Torino 2000
[10] Massimo Gerardo Carrese, Fantasiare e immaginare. Sguardi fantasiologici sul Taburno, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2017
[11] Ibidem. In questo saggio propongo l’uso del verbo fantasiare per indicare le caratteristiche specifiche della fantasia; il verbo immaginare per immaginazione; creare per creazione; associare per associazione; percepire per percezione; fantasticare per fantasticheria; realizzare per realtà
[12] Ferraris, op. cit.
[13] Carrese, op. cit.
[14] “Massimo Gerardo Carrese – fantasiologo” in M.E.M.O.RI. Museo Euro Mediterraneo dell’Oggetto Rifiutato. M.E.M.O.RI. Book, BoÎteeditions, Lissone 2020 (per Matera 2019 European Capital of Culture 2019)
[15] Massimo Gerardo Carrese, Come fare un binocolo con una pallina da basket, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2018 https://www.fantasiologo.com/shop/index.php/prodotto/un-binocolo-pallina-basket/ Durante il laboratorio Mi manca un venerdì e in altre lezioni fantasiologiche, ho mostrato numerose creazioni da una pallina da basket. Creazioni tutte realizzabili (con metodo progettuale): un paio di occhiali richiudibili, un’automobile, un elefante, una bocca, un osso, un naso….Molti richiami sul tema sono in due miei documentari fantasiologici Dalla pallina da basket a me (Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2019) e Ci è venuta così (Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2019)
[16] https://www.etimo.it/?term=dubbio
[17] Bruno Munari, Verbale scritto, Corraini, Mantova 2013
[18] Edward De Bono, The use of lateral thinking, Penguin, London 1971
[19] Gianni Rodari, Scuola di fantasia, a cura di Carmine De Luca, Editori Riuniti, Roma 1992: «Noi spesso siamo vittime di questa opposizione nel discorso familiare, a scuola, nei discorsi comuni, opponiamo spesso fantasia e realtà, come se fossero due cose antitetiche. […] La fantasia non è in opposizione alla realtà. È uno strumento per conoscere la realtà, è uno strumento da dominare.»
[20] Guido Petter, Ragione, fantasia, creatività nel bambino e nell’adolescente, Giunti, Firenze 2010
[21] Massimo Gerardo Carrese, Denti Ridenti, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2018. In questo documentario fantasiologico emerge più volte, da parte degli stessi bambini, la necessità di sottolineare il loro uso più fecondo della fantasia rispetto a quella praticata con superficialità, secondo quanto sostengono, dagli adulti. Si nota nel documentario che il termine “fantasia” ha per i bambini un uso ambiguo e comunque più vicino al significato di fantasticheria, cioè alla libera evasione mentale dal circostante, al gioco del “fare finta che”, e non alla forma di esplorazione del possibile con un’oggettiva dimostrazione
[22] “Il fantasiare nei bambini” in Carrese, Fantasiare e immaginare, op. cit.
[23] Massimo Gerardo Carrese, “La creatività adottata” 06/02/2019 in https://www.fantasiologo.com/la%20creativita%20Massimo%20Gerardo%20Carrese.html
[24] Per esempio Bruno Munari in Fantasia (Editori Laterza 2006) ci descrive le funzioni della fantasia applicate alla comunicazione visiva ma tali funzioni non sono istruzioni tecniche replicabili sempre allo stesso modo ma stimoli da adottare e rendere propri a seconda dei casi e del nostro modo di stare al mondo
[25] In questo scritto non approfondisco il concetto di originalità e le differenze con quello di unicità. Mi limiterò a ricordare che la creatività è legata al concetto di originalità, cioè dalla combinazione inedita di elementi noti
[26] http://www.etimo.it/?term=creare
[27] La fotografia del cane, qui riadattata, è di João Paulo Corrêa de Carvalho da Flickr
[28] Annamaria Testa, La trama Lucente. Che cos’è la creatività perché ci appartiene come funziona, Rizzoli, Milano 2010
[29] Si veda anche Piergiorgio Odifreddi, Perché non possiamo essere cristiani (e meno che mai cattolici), Tea, Milano 2013
[30] Edoardo Boncinelli, Come nascono le idee, Editori Laterza, Bari -Roma 2010
[31] https://www.focusjunior.it/tecnologia/invenzioni/le-invenzioni-nate-per-caso-serendipity/
[32] Piero Angela in “Kilimangiaro”, puntata su Rai 3 del 24/6/2018
[33] http://www.bassi.gov.it/documents/VPANZA/Pier%20Paolo%20Pasolini%20-%20Sviluppo%20e%20progresso.pdf
[34] Elémire Zolla, Storia del fantasticare, Bompiani, Milano 1964
[35] Paolo Legrenzi, La fantasia, Il Mulino, Bologna 2010. Si veda anche Massimo Gerardo Carrese, “Alfabetario dei Luoghi” https://www.fantasiologo.com/shop/index.php/prodotto/alfabetario-dei-luoghi/
[36]http://www.gdli.it/JPG/GDLI15/00614.jpg
[37] Voce “esistere” in Enciclopedia Treccani Online https://www.treccani.it
[38] Si veda sullo stesso tema Maurizio Ferraris, Intorno agli unicorni. Supercazzole, ornitorinchi e ircocervi, Il Mulino, Bologna 2018
[39] Essa rivela tutta la sua complessità a seconda se è intesa dalla cultura occidentale o da quella orientale. È cosa diversa se analizzata nel Medioevo o nel Novecento. È altro per un aborigeno australiano o per un abitante di New York o di Moncenisio. È diversa da persona a persona appartenenti a una stessa comunità. Inoltre in una stessa lingua, per esempio l’italiano, le cose non vanno meglio poiché la parola “fantasia” è sostituita con i sinonimi – inappropriati ma riportati dai dizionari – “immaginazione”, “creatività”, e viceversa. Ancora, la parola “fantasia” è confusa nel linguaggio comune con il significato attribuito a “fantasticheria” e c’è chi superficialmente riconosce le qualità della fantasia solo nel genere letterario de “il fantastico”. Altra difficoltà è riservata alle traduzioni delle parole “fantasia”, “immaginazione”, “creatività”: ogni cultura ne dà un valore e un peso diverso. «[…] Questo crea qualche problema per la traduzione (o, ciò che è in parte lo stesso, per la comprensione) intralinguistica e interlinguistica. Per certi autori, come Tommaso d’Aquino, phantasia e imaginatio sono sinonimi: “phantasia, sive imaginatio, quae idem sunt”; per altri esse si differenziano, a volte, collegandosi la prima a una facoltà più passiva e riproduttiva, la seconda a una più attiva e produttiva, o viceversa. Questa ambivalenza sfocia, nel periodo moderno, in una sistemazione per cui, per designare la facoltà più alta, autenticamente creativa, che sta dietro le produzioni artistiche e letterarie, prevalgono in inglese e francese i termini corrispondenti a immaginazione, e in tedesco e in italiano quelli corrispondenti a fantasia […]» da “Aspetti linguistici del fantastico” di Giulio Lepschy in Gli universi del fantastico, a cura di Vittore Branca e Carlo Ossola, Vallecchi editore, Firenze 1988. Altra bibliografia di riferimento: Anna Abraham, The neuroscience of Creativity, Cambridge, United Kingdom, 2018; Peter Mendelsund, Che cosa vediamo quando leggiamo, Corraini, Mantova 2020; Will Gompertz, Nella mente dell’artista. Il successo è spesso frutto del piano B, Mondadori Electa, Milano 2016; Marcus Du Sautoy, Il codice della creatività. Il mistero del pensiero umano al tempo dell’intelligenza artificiale, Rizzoli, Milano 2019; (a cura di) Marta Fattori, Massimo Luigi Bianchi, Phantasia-Imaginatio. Atti del V Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo Roma 9-11 gennaio 1986, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1988
[40] Wisława Szymborska, Vista con granello di sabbia, Adelphi, Milano 2016
[41] Grammatica della fantasia, Einaudi, Torino 2001
“Per andare dove? Le parole della fantasiologia” è stato pubblicato per la prima volta sul blog “ArteCulturaItaloPolacca” il 28/06/2018 e in seguito su www.fantasiologo.com (riscritto e ampliato: settembre 2020). ©2018-2020. Massimo Gerardo Carrese, Per andare dove? Le parole della fantasiologia” ora in Massimo Gerardo Carrese, Per andare dove? Introduzione alla fantasiologia, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2020
Per qualsiasi uso citare sempre la fonte.
Per citazioni:
Massimo Gerardo Carrese, Per andare dove? Introduzione alla fantasiologia, Ngurzu Edizioni, Caiazzo 2020