Dalla brina nascono mari – dai rami brani in rima
pubblicato su Rivista “InArte” – aprile 2008
L’anagramma (dal greco ana ‘a rovescio’ e gramma ‘lettera’) è un gioco enigmistico che permuta le lettere di una parola o di una frase al fine di ottenere altri vocaboli o frasi. In genere il gioco termina quando la parola anagrammata è di senso compiuto, e questa si dice aptagramma quando c’è un rapporto di significato tra il termine di partenza e quello di arrivo (attore – teatro), antigramma quando non c’è corrispondenza di concetti tra i vocaboli (ramo – mora), logogrìfo (anagramma ridotto) quando si combinano solo alcune lettere e si scartano le rimanenti (sbaraglio – salario; donna – onda). Il gioco permette di manipolare singoli vocaboli o interi gruppi di parole (due curiosità dell’italiano: la parola più lunga è sovramagnificentissimamente di ventisette lettere ed è citata da Dante nel De vulgari eloquentia, mentre precipitevolissimevolmente ne ha ‘solo’ ventisei. Il più lungo anagramma, invece, è anticostituzionali – incostituzionalità).
L’anagrammista deve avere una certa dimestichezza con le parole di una o più lingue, conoscere le permutazioni possibili di un vocabolo, sapere cioè se i termini anagrammati o le frasi ottenute hanno un significato nella lingua in cui gioca. Ad esempio, se permuta le lettere della parola regina ne ricava gli anagrammi agrine, argine, gerani […] e, da solo o con l’uso di un buon vocabolario, scopre che la voce agrine non ha contenuto semantico, mentre le altre due sì. A questo punto spetta a lui decidere se scartarla dal suo elenco e cercare altre permutazioni di senso o impiegarla in contesti ludici dando ad essa significati del tutto inventati: agrine = immaginario attrezzo agricolo simile all’aratro che serve per piantare frutti dal sapore pungente; un nuovo aggettivo: agrine per dire ‘cattivo’, e così via.
Per conoscere quanti anagrammi può sviluppare una parola si adotta il calcolo fattoriale. Vediamo degli esempi: la parola mio è formata da tre lettere, il suo fattoriale si calcola 3 x 2 x 1 = 6. Ciò vuol dire che la parola mio può sviluppare 6 possibili anagrammi; la parola treno ha cinque lettere, quindi 5 x 4 x 3 x 2 x 1 = 120 anagrammi; farfalla: 8 x 7 x 6 x 5 x 4 x 3 x 2 x 1 = 40.320 permutazioni (con ripetizioni 1.680 permutazioni). Il calcolo fattoriale, però, indica solo il numero di possibili permutazioni, ma non garantisce sull’effettivo senso delle parole anagrammate.
Probabilmente, l’anagramma è il gioco classico più conosciuto. Il primo esempio storico risale al III a.C. e si deve a Licofrone il Tragico che fu premiato da Tolomeo II di Alessandria per aver scritto nel suo poema Cassandra l’anagramma Ptolemaios apomelitos, Tolomeo dolcissimo.
Con semplici permutazioni tra le lettere nascono estrose immagini e fantasiosi contesti: un tendone a forma di dentone, un mouse del computer in museo, un vestito in visetto, un calendario in locandiera, un camino in passaggio segreto per monaci… Si creano strani annunci pubblicitari (Presto poster) o spunti originali per storie tutte da inventare: storia di un canarinoarancino; storia di un serpente che all’appello a scuola risponde presente. Si compongono frasi prodigiose (con una cantatinasfaterò la foresta incantata), bizzarri modi di dire (dalle maglie il meglio dalla moglie i legami), lamentele di pazienti insoddisfatti (è il decimomedico che cambio!). Si possono, inoltre, inventare stravaganti cartelli indicanti pericoli (Attenti alla minestra, stermina!) o modificare quelli noti (Attenti al cane in Cantate latine); leggere il pensiero di un tiratore scelto (non sbaglieròbersaglio); fare domande con risposta inclusa (di che colore è la cabina? –bianca -); indovinare chi c’è sotto una maschera (la marchesa); rispondere distrattamente alle domande (dov’è il salmone? Sulla mensola); essere poetici (dalla brina nascono mari / dai rami brani in rima); maturare pregiudizi (non trovo più la mia matita, di sicuro l’ha presa Mattia). Scoprire proverbi che fanno domande (chi cerca trova…cercava torchi?); divieti che diventano presagi (non fumare in fumeranno, non guardare in guarderanno, non parlare in parleranno). Frasi comuni che nascondono insoliti risvolti: sono arrivati i vicini in noi orsi riavvicinati, andare a scuola in adesca la nuora, mangiare una mela in amalgamai un rene, il mio cane in mica leoni, scrivere una letterain scaraventerete urli. Insomma, ce n’è per tutti i gusti. E un particolare gusto accademico l’ebbe Luigi XIII che a Parigi istituì addirittura una cattedra di anagrammista offrendo al professore titolare uno stipendio fisso.
Il gioco dell’anagramma è adoperato in diversi settori: dalla scienza esoterica (divinazioni sul numero di permutazioni del nome e del cognome) alla superstizione (il 17 in numeri romani si scrive XVII, anagramma di VIXI, cioè ‘vissi’), dalla matematica (11+2 = 12+1) alla religione: dal medioevo ci viene un dialogo apocrifo inventato da un monaco (Pilato: Quid est Veritas? Gesù: Est vir qui adest).
Nell’ambito dell’onomastica, esempi di anagrammi sono i nomi e cognomi di personaggi famosi resi in pseudonimi: François Rabelais in Alcofribas Nasier, Carlo Alberto Salustri in Trilussa (solo il cognome), Arrigo Boito in Tobia Borrio, Renato Fucini in Neri Tanfucio, Carlo Emilio Gadda in Alì Oco de Madrigal, Arouet Le Jeune in Voltaire (u = v latina; j = i).
Il valore didattico dell’anagramma e dei giochi enigmistici in generale è inconfutabile, così come è certo che tutte le attività ludiche rivelano sempre qualcosa: avete mai sentito dire di giochi che non insegnano? Talvolta capita che l’essere umano ne dimentichi il pregio e li releghi tra gli spazi secondari della vita, mentre dovrebbe tenere a mente che se l’essere umano crea giochi è perché essi lo educano e lo formano alla vita e, nel caso dell’anagramma, lo conducono a scoprire quei meravigliosi altri mondi che si nascondono tra le lettere delle parole.
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